LA VISITA NON-GUIDATA.

Ovvero: nuove possibilità di visione all’interno del museo.

a cura di Arianna Desideri

La “visita non-guidata” è una pratica ideata da Arianna Desideri e Jacopo Natoli per sperimentare nuove possibilità di visione all’interno del museo. Si inserisce nel filone di ricerca di D.A.P.A. (Derive Azioni Psicogeografie Atmosfere), una piattaforma co-fondata dai due autori nel 2019, che realizza interventi nello spazio pubblico e non, individuando zone di confine e liminari, campi in cui innescare azioni e processi collettivi di risemantizzazione >1.
Per una prima sessione sperimentale, il progetto prende in esame l'ordinamento e l'allestimento de La Galleria Nazionale di Roma così come articolati nella mostra Time is out of joint, a cura della Direttrice Cristiana Collu. I presupposti concettuali dell’attuale assetto della collezione permanente sono stati indagati attraverso due “visite non-guidate” in loco, che hanno previsto l’utilizzo di sette quaderni d’appunti e di disegno, circolarmente condivisi tra il gruppo dei-delle partecipanti >2.

ERRARE

La “visita non-guidata” prende le mosse da una riflessione critico-operativa sul tema del museo e, in particolare, sui recenti sviluppi del museo contemporaneo >3. All’interno del progetto vengono selezionate istituzioni culturali specifiche, analizzate in virtù delle loro pagine storiche e declinazioni in essere; ne sono colte peculiarità, orizzonti, punti nevralgici e contraddizioni. L’obiettivo è mettere in luce gli interstizi potenziali dei musei scelti e lì intervenire per progettare modalità di fruizione alternative, fino ad accendere immaginari inattesi.
Lo svolgimento della “visita non-guidata” reinterpreta le modalità operative della dérive, una pratica estetica intrapresa dall’Internazionale Situazionista dalla fine degli anni Cinquanta che consiste in un attraversamento dello spazio urbano veloce e collettivo, asistematico e aperto all’imprevisto >4. Tramite il détournement, l’osservazione distratta e la perdita d’orientamento, la deriva genera una percezione inusuale del circostante, tale che colui-colei che la vive ricombina dettagli d’esperienza secondo un sentire intimo e soggettivo (psicogeografia) >5.
Ragionando a partire dall’input situazionista, sono scaturite molteplici questioni: è possibile applicare una simile metodologia all’interno di un museo? Cosa succede quando lo percorriamo a passo svelto, quando osserviamo distratti un'opera d'arte, quando arriviamo al punto di perderci, quindi di “errare”? Cosa resterebbe, allora: il contenitore, il dettaglio, l'angolo cieco e captato di sfuggita?
Gli interrogativi della ricerca si condensano intorno ai poli di “fruitore” e di “discorso museologico”, attori ineludibili nella dialettica museale, e problematizzano gli equilibri che regolano il rapporto tra i due fattori, portando il progetto della “visita non-guidata” su un orizzonte sperimentale, sul piano del “cosa-se”, sull’ipotesi da verificare. Testare nuove possibilità di visione all’interno del museo significa riconoscere ai visitatori e alle visitatrici un ruolo particolare, ovvero non solo il compito di attraversare spazi e apprendere contenuti, ma la facoltà e il diritto di ricalibrare le traiettorie di osservazione su direzioni non precostituite.
Secondo Jacques Rancière, il «paradosso dello spettatore» >6 - ovvero l’essere indispensabile alla rappresentazione ma non potervi intervenire – si risolve infatti nella constatazione che la fruizione artistica si nutra di micromondi interiori, bagagli culturali e occhi ogni volta differenti. Lo «spettatore emancipato» >7 genera dunque narrazioni-patchwork personali che vanno oltre la partecipazione attesa >8 o al di là di ciò che è stato disposto dall’istituzione e dall’artista, ed è proprio in questi frangenti che risiede la preziosità e l’unicità dell’esperienza estetica.
La “visita non-guidata” si interessa quindi all’apporto soggettivo e attivo del fruitore in relazione al museo tout court, valorizzando processi di rilettura e reinterpretazione, la sorpresa dello scarto rispetto al “già detto”.
Se la visita guidata tradizionalmente intesa è scandita da un percorso per tappe programmate e si articola su un asse comunicativo trasmittente (guida)-ricevente (visitatori) con un obiettivo prettamente (in)formativo, la variante “non-guidata”, invece, predilige la pluridirezionalità simultanea, il passo veloce, il transito effimero, il continuo ricalcolo di posizione dell’individuo rispetto al gruppo e all’area esplorata >9. Tale pratica contamina e disperde i ruoli in maniera circolare tra coloro che ne prendono parte, facendo sì che vi siano propagazioni multiple e con-fuse di suggestioni, con un carattere percettivo-esperienziale, situato e condiviso.
D’altronde, già altri-e artisti-e hanno messo in discussione i modus delle visite guidate (museali e non) attraverso interventi che ne problematizzano gli assunti e lo svolgimento, in armonia con gli interessi generali dell’Institutional critique >10. Due per tutti-e: Andrea Fraseri >11 con Museum Highlights. A Gallery Talk (Philadelphia Museum of Art, Philadelphia 1989) e Cesare Pietroiusti >12 con Visite (Galleria Il Campo, Roma, 1991).
Fattore essenziale nel quadro operativo della “visita non-guidata” è la registrazione delle impressioni in itinere da parte dei soggetti partecipanti, in quanto essa permette di conservare e archiviare pensieri e situ-azioni altrimenti effimeri. La documentazione può avvalersi di mezzi espressivi diversi, da calibrare a seconda del luogo e degli interrogativi che muovono le sessioni di visita, affinché il medium diventi parte integrante e programmatica del discorso. Ad esempio, possono essere impiegati: il disegno, la scrittura, l’annotazione, la fotografia, il video, il corpo ecc. Anche le modalità di interazione del gruppo possono variare a seconda delle occasioni e delle specificità del progetto sul singolo museo. Nel caso della prima tranche di sperimentazioni – come si vedrà in seguito – lo scambio dei quaderni d’appunti ha regolato il gioco tra i-le partecipanti. La “visita non-guidata” si propone come modello replicabile da diffondere, applicare e adattare a più realtà museali. La Galleria Nazionale è emersa come sito ideale per inaugurare i primi tentativi di tale serie, proprio in virtù del concept della mostra Time is out of joint – ovvero: scardinamento, cortocircuito, frammento, ricombinazione, montaggio, metadiscorso.

SCARDINARE IL TEMPO

La Galleria Nazionale – con sede a Viale delle Belle Arti dal 1911 e punto di riferimento per l’arte contemporanea nel panorama italiano e internazionale – dal 2015 è sotto la direzione di Cristiana Collu, che ne ha ridisegnato il volto attraverso la mostra Time is out of joint, che coinvolge le opere della collezione permanente >13.
Il verso pronunciato da Amleto nell’omonima pièce shakesperiana («The time is out of joint» >14, il tempo è fuori dai cardini) è il manifesto di una visione curatoriale che decostruisce i nessi lineari consolidati dal canone storico-artistico. Il tempo è fuori di sesto, plastico, rimescolato e tesse le fila della storia dell’arte oltre una concezione teleologica ed evolutiva: non c’è un ante né un post, ma ogni opera diviene parte di connessioni rizomatiche, impreviste e inconcluse >15.
Si deduce che, con il suo ordinamento, la Collu intenda dire che nella stessa sala di un museo è possibile far convivere dialetticamente, ad esempio, Ercole e Lica di Antonio Canova, 32 mq di mare circa di Pino Pascali, Spoglia d’oro su spine di acacia di Giuseppe Penone, nonché artisti come Enrico Castellani, Yves Klein, Piet Mondrian, Cy Twombly; che le genealogie sono fluide e rinegoziabili anche a distanza di secoli; che gli intrecci, le affinità e le associazioni tra le opere sono trans-temporali; che la lettura e lo sguardo sono relazionali e relativi, ovvero frutto di un determinato contesto ed epoca.
In realtà, è noto che qualsiasi testimonianza culturale, sin dal momento in cui varca la soglia del museo, sia sottratta all’identità originaria, al contesto e alla funzione per cui è stata prodotta (a meno che non si tratti di un’opera meta-discorsiva o site specific). I beni sono conservati e risemantizzati all’interno di una collezione e di altro contenitore, connotati in virtù della loro densità di significato, inscritti in un disegno macroscopico a cui appartengono e di cui divengono emblema >16. Di solito, a tale frattura e rimodulazione le istituzioni museali rispondono con l’inserimento dell’opera e dell’artista in un panorama cronologico, stilistico, evidenziano visivamente e verbalmente maestri e contemporanei, influenze e circostanze storiche, al fine di fornire una cornice didattica entro cui posizionare nomi ed eventi. Spesso si dimentica che anche gli ordinamenti e gli allestimenti che percepiamo come più lineari e tradizionali siano un prodotto antropologico, una ricostruzione parziale e non neutra, ovvero il risultato di un occhio di una determinata epoca che nel tempo si è consolidato come paradigma più attendibile >17. Il riassetto di Cristiana Collu ha problematizzato tali questioni, chiedendoci se vi sia una sola storia dell’arte possibile, ma soprattutto se un museo pubblico possa essere il luogo della produzione di un diverso paradigma di visione. Forse è proprio nell’era del digitale e dell’ipertesto, dei tag e della serendipity che Time is out of joint trova la sua struttura di pensiero.
L’allestimento isola le singole testimonianze, come monadi prive di radici, autosufficienti. Tuttavia, i brani sconnessi dialogano tra di loro all’interno di scenografie esteticamente efficaci e in relazione all’architettura di Cesare Bazzani, facendo sì che i salti cronologici e stilistici facciano emergere corrispondenze e discrepanze a distanza di secoli. Le opere-frammenti raddoppiano allora il proprio coefficiente di decontestualizzazione, per illuminarsi reciprocamente attraverso un montaggio dagli accenti post-moderni.
I dialoghi enigmatici e i cortocircuiti visivi, rafforzati dalla mancanza dell’apparato didattico-informativo nelle sale, sono una costante esperienziale per i visitatori e le visitatrici, disorientati-e nel cercare di decifrare le narrazioni sottese alle parti chiamate in causa. Non vi è una scansione predefinita dell’itinerario, una progressione guidata, ma solo un percorso di visita consigliato. Non vi è univocità, ma apertura di senso: il tutto, certamente, a partire dalle scelte operate a priori dal progetto curatoriale. Al fruitore è richiesto così di interrogarsi e di interrogare, di approfondire un dettaglio per risalire alla cornice, di formulare ipotesi che innescano ulteriori domande, di tessere un discorso altro >18.
Il museo non dà risposte, ma pone altre domande; non dice “cos’è” l’opera ma “cosa può essere” la storia dell’arte; non accompagna ma disorienta: questioni sicuramente complesse e controverse, che hanno diviso l’opinione pubblica e accademica, tra plausi e forti polemiche, su quale sia la funzione del museo oggi.
Ciò che interessa alla sperimentazione qui proposta non è esprimere un giudizio qualitativo sull’attuale ordinamento e allestimento de La Galleria Nazionale. Piuttosto, si intende partire dal suo paradigma e dalle riflessioni critiche da esso originate per esasperarne i presupposti concettuali attraverso le modalità della “visita non-guidata”. Ci si chiede: se il tempo è scardinato dalle sue certezze storico-critiche e lo spazio museale è il campo del montaggio, cosa si può innescare se calchiamo i limiti e le potenzialità di questa operazione? Cosa succede se frammentiamo il frammento, se lo rimescoliamo e ritracciamo la narrazione museale tramite una “visita non-guidata”?

VISITE NON-GUIDATE A LA GALLERIA NAZIONALE DI ROMA

Il 31 luglio e il 2 settembre 2020, due gruppi di 7 persone hanno preso parte alla prima fase di sperimentazione del progetto, che si è tenuta nelle sale de La Galleria Nazionale di Roma. In accordo con le riflessioni scaturite da Time is out of joint, la “visita non-guidata” si è strutturata secondo la logica del frammento, del montaggio e del palinsesto.
Riuniti-e nella hall, dopo una breve introduzione, ad ogni partecipante è stato affidato un quaderno d’appunti appositamente realizzato >19. Sulla copertina sono riportate delle brevi modalità d’uso, ovvero indicazioni funzionali su un piano operativo per lo svolgimento della visita:

[] Attraversa gli spazi del museo a passo veloce.
[] Procedi senza un percorso prestabilito, senza una meta.
[] Errando, osserva distrattamente.
[] Annota, scrivi, disegna sul quaderno ciò che vedi, pensi, senti.
[] Quando incroci un* altr* visitatore-trice del gruppo, scambiatevi i quaderni senza parlare.
[] Continua ad annotare, scrivere e disegnare sul quaderno ricevuto.
[] Fai girare il quaderno di mano in mano con la più alta frequenza possibile.

I-le partecipanti hanno esplorato il museo in solitaria e in silenzio, portando con sé il supporto cartaceo in dotazione.
L’interazione tra i membri del gruppo – disperso a partire dal via – è stata acentrica e regolata dall’incontro casuale, suggellato dal dono reciproco. Oltre tali indicazioni, i visitatori e le visitatrici hanno potuto scegliere liberamente in che direzione muoversi, a quali ritmi e andature procedere, cosa fare, cosa osservare, cosa annotare o disegnare, in che modo utilizzare la superficie del volume.
Il disegno e l’annotazione sono i mezzi espressivi impiegati per lasciare una traccia che si deposita sulle pagine in quanto individuale ma che, tramite lo scambio dei quaderni, arriva a con-fondersi con tanti e tanti altri segni, a ibridarsi, a integrarsi o frapporsi, generando una più ampia e multipla narrazione collettiva, intrecciata.
Il patto è di ritrovarsi tutti-e al punto di partenza dopo un’ora per riconsegnare i supporti e condividere un breve giro di impressioni sull’esperienza appena compiuta. I feedback sono raccolti anche tramite un questionario online, sottoposto in un secondo momento, al fine di archiviare al meglio dati e riscontri e conservare una pluralità di voci intorno al progetto.
Dalle testimonianze sono emerse affinità di sensazioni, prospettive di visione differenti, focus personali. Tutti-e si sono persi-e negli spazi del museo, ne hanno percorso più volte l’intera area, avvertendo un senso di disorientamento talvolta dolce e stimolante, talvolta simile alla vertigine e alla nausea, ad una leggera frustrazione da smarrimento. Molti-e hanno captato assonanze e collegamenti insiti nell’allestimento, affinando l’occhio sui dettagli o sul ruolo del contenitore architettonico, sui luoghi inaccessibili, sulla relazione tra dentro e fuori. Alcuni-e hanno realizzato veloci schizzi e copie delle opere oppure le hanno détournate; hanno posto domande e scritto brevi enunciati ironici, critici, poetici. Altri-e hanno instaurato un dialogo intimo tra sé e l’esterno, lasciando emergere memorie e ricordi evocati dallo sguardo, si sono immersi-e nell’ambiance, nell’atmosfera e nella situ-azione.

I quaderni saranno riutilizzati per prossime “visite non-guidate” all’interno de La Galleria Nazionale, finché non risulteranno saturi e saranno archiviati. I volumi costituiscono così tante brevi “guide non-guidate”, palinsesti percettivi e collettivi intorno al discorso sul museo contemporaneo.

Hanno partecipato: Arianna Bonori, John Cascone, Francesca D’Andrea, Arianna Desideri, Chiara Di Martino, Federica Di Pietrantonio, Gaia Fiorentino, Andrea Frosolini, Jacopo Natoli, Andreea Nedelcu, Barbara Ronchetti, Sasha Sindeeva, Tianyi Xu, Fabiola Zero.

1 > D.A.P.A. (Derive Azioni Psicogeografie Atmosfere), manifesto, www.dapa.biz (ultimo accesso settembre 2020).
2 > Oltre ai-alle partecipanti delle visite, ci tengo a ringraziare John Cascone per i confronti e consigli, Jacopo Natoli per il bookdesign dei quaderni e per l’instancabile lavoro insieme, Andreea Nedelcu per la documentazione fotografica della “visita-non guidata” del 31 luglio 2020.
3 > Cfr. Il concetto di museo «contemporaneo» in C. Bishop, Museologia radicale, Johan & Levi, Monza 2017, pp. 9-34; S. Zuliani, Effetto museo. Arte, critica, educazione, Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 18-35.
4 > Per i documenti situazionisti, cfr. la rivista «Potlatch», raccolta in Potlatch. Bollettino dell’Internazionale Lettrista 1954-1957, Nautilus, Torino 1999; la rivista «Internationale Situationniste», raccolta in Internazionale Situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino 1994; l’antologia fr. G. Berréby (a cura di), Textes et documents situationnistes 1957-1960, Éditions Allia, Paris 2004. Per la letteratura critica, cfr. almeno G. Agamben et al., I Situazionisti, Manifesto Libri, Roma 1991; J. F. Martos, Histoire de l’Internationale Situationniste, Éditions Ivrea, Paris 1995; S. Home, Assalto alla cultura. Le avanguardie artistico-politiche: lettrismo, situazionismo, Fluxus, mail art, trad. di Luther Blissett, Shake edizioni, Milano 2010; M. Perniola, L’avventura situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia del XX secolo, Mimesis, Sesto San Giovanni 2013.
5 > Sulla walking-art e sulla psicogeografia, cfr. F. Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino 2006; D. Vazquez, Manuale di psicogeografia, Nerosubianco, Torino 2010.
6 > J. Rancière, Lo spettatore emancipato, Deriveapprodi, Roma 2018 (ed. originale Le spectateur émancipé, La Fabrique éditions, 2008), p. 6.
7 > Ivi, pp. 18-29.
8 > Cfr. C. Bishop, Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell’arte partecipativa, Luca Sossella Editore, Bologna-Milano 2015, (ed. originale Artificial Hells. Partecipatory Art in the Politics of Spectatorship, Verso Books, Londra-New York 2012).
9 > Sulle questioni intorno al pubblico e alle modalità di visita del museo, cfr. M. Negri, La grande rivoluzione dei musei europei. Museum Proms, Marsilio, Venezia 2016. In particolare, cfr. la distinzione tra «visitor» e «user» (ivi, pp. 101-108), e l’«antropologia del visitatore» (ivi, pp. 113-122).
10 > Per una panoramica sull’Institutional critique, cfr. almeno The Museum as Muse. Artists reflect, catalogo della mostra (New York, MoMA, 1999) a cura di Kynaston McShine, The Museum of Modern Art, 1999; A. Alberro, B. Stimson (a cura di), Institutional critique, an anthology of artists’ writings, The MIT Press, Cambridge-London 2011.
11 > A. Fraser, Museum Highlights. A Gallery Talk, in «October», n. 57, estate 1991, pp. 104-122; A. Fraser, Museum Highlights. The writings of Andrea Fraser, The MIT Press, Cambridge-London 2005, pp. 95-114; Andrea Fraser, catalogo della mostra (Salisburgo, Museum der Moderne, 21 marzo-5 luglio 2015) a cura di S. Breitwieser, Museum der Moderne, Salisburgo 2015, pp. 76-77.
12 > Visite (1991), performance nell’edificio sede della galleria Il Campo a Roma, nell’ambito di Storie, mostra a cura di Domenico Nardone e Carolyn Christov-Bakargiev (Roma, Il Campo, Alice; Milano, Studio e Galleria Casoli, maggio-giugno 1991). Cfr. la nota n. 62 di www.pensierinonfunzionali.net (ultimo accesso settembre 2020). Per una panoramica su C. Pietroiusti, cfr. C. Pietroiusti, Un certo numero di cose, 1955-2019, catalogo della mostra (Bologna, MAMbo, 4 ottobre 2019-6 gennaio 2020, a cura di Lorenzo Balbi), NERO, Roma 2019.
13 > La stagione espositiva sotto la direzione di Cristiana Collu si inaugura con la mostra The Lasting. L’intervallo e la durata (22 giugno 2016-29 gennaio 2017, a cura di Saretto Cincinelli), per proseguire con Time is out of joint (11 ottobre 2016-15 aprile 2018, a cura della Direttrice). Nonostante succeduta da Joint is out of time (22 gennaio-03 novembre 2019, a cura di Saretto Cincinelli e Bettina Della Casa) e da altre esposizioni temporanee, l’assetto concettuale della Galleria Nazionale è ancora caratterizzato dalla lettura che Time is out of joint ha svolto della collezione permanente, motivo per cui si è scelto di citare prevalentemente tale la mostra. Cfr. C. Collu (a cura di) Time is out of joint, catalogo della mostra (Roma, La Galleria Nazionale, 11 ottobre 2016-), Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma 2018; www.lagallerianazionale.com/mostra/time-is-out-of-joint (ultimo accesso settembre 2020).
14 > W. Shakespeare, Amleto, ed. con trad. it. di Eugenio Montale, Mondadori, Milano 2012, p. 77.
15 > C. Collu, M. Maiorino, Time is out of joint, ovvero come è stata riallestita la Galleria Nazionale nel tempo del senza tempo, in C. Collu (a cura di) Time is out of joint, op. cit., p. 555.
16 > Cfr. K. Pomian, Dalle sacre reliquie all’arte moderna. Venezia-Chicago dal XII al XX secolo, Il Saggiatore, Milano 2004, pp. 9-21; M. T. Fiorio, Il museo nella storia. Dallo studiolo alla raccolta pubblica, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2011.
17 > Cfr. I. Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, Laterza, Bari-Roma 2011, pp. 14-25.
18 > Cfr. Focus imaginarius, intervista di I. Bussoni e S. Cincinelli a Jacques Rancière, in C. Collu (a cura di) Time is out of joint, op. cit., p. 434.
19 > Il quaderno d’appunti, come supporto, rimanda e reinterpreta il taccuino degli schizzi, generalmente utilizzato dai-dalle copisti-e come pratica di esercitazione nel disegno. L’idea di rendere il volume un dispositivo, le cui pagine accolgono stratificazioni di segni a più mani, deriva invece direttamente dalla pratica artistica di Jacopo Natoli, che si è occupato anche del bookdesign dei quaderni per la “visita non-guidata”. Per una panoramica sul lavoro di Natoli, cfr. il sito www.jacoponatoli.com (ultimo accesso settembre 2020); il catalogo della mostra Lightbox + Cabina. Doppia transpersonale di Jacopo Natoli, a cura di Arianna Desideri (Roma, appartamento-studio di via La Spezia 28, cabina telefonica di via Orvieto 4, 6-12 luglio 2020), edizione autoprodotta a tiratura limitata, ordinabile ma scaricabile in versione online sul sito di D.A.P.A., www.dapa.biz/lightbox-cabina-doppia-transpersonale-di-jacopo-natoli-a-cura-di-arianna-desideri (ultimo accesso settembre 2020).